Home teatro Abitare le parole: “L’origine del mondo- ritratto d’interno”

Abitare le parole: “L’origine del mondo- ritratto d’interno”

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Istintivamente pensando a una casa, si disegna nella mente un’immagine più o meno distinta dell’esterno di una costruzione tipo con finestre, un tetto e una porta.  Solo la propria casa è il fotogramma ben definito di uno spazio interno. Non si riesce a immaginare un interno finché non lo si vive. A casa propria tutto è interno e nello spazio ben noto e conosciuto ci si può sentire avvolti e protetti dalla nostra stessa intimità. Ogni casa è costruita come una matrioska, e l’ultima bambola siamo noi stessi, che ci abitiamo abitualmente, pur non rendendocene conto. Solo raccontandoci, prendiamo posto dentro noi stessi, creando uno spazio per le nostre parole. Abitare una casa significa trovarsi , quando la dimora siamo noi, si inventano parole. Siamo la casa della voce rumorosa di un pensiero che a volte non è più muto , nel quale siamo immersi, in apnea. Nella foga di parole è facile affogarsi. Il rischio della casa è il disordine, così nelle case che siamo, le parole sono spesso scombussolate e ci si perde, senza una bussola in grado di orientarci. Dove iniziare a mettere ordine? È possibile sentirsi  a casa? Nel tentativo quotidiano della vita, la casa è la sfida del ritorno. Stare con sé stessi e con le proprie parole, accettare la scomodità di qualcosa che dovrebbe essere accogliente, ma non lo è più. Imparare a parlare è costruire la propria casa, si edificano le parole come nostri luoghi. Stare nella parole con la stessa cura con cui ci si occupa della casa significa abitare se stessi e rendersi accoglienti verso gli altri, pazientando nel tempo necessario alla costruzione della propria dimora. La casa è quella parola che diventa cosa.

Lo spettacolo  “L’origine del mondo, ritratto di un interno” tratteggia la casa ritraendo le parole, che nel continuo del pensiero sono l’edificio metamorfico del disagio di Daria ( Daria de Florian), inquilina abusiva di sé stessa, unica detentrice di uno spazio immenso che non riesce a condividere. Lucia Calamaro scrive e dirige un dramma esorbitante e straordinario, che fuoriesce dalla situazione scenica per riversarsi in modo dirompente nella quotidianità: le parole si intrecciano come mura intorno alla vita di Daria e della figlia Federica ( Federica Santoro) rendendole prigioniere di una costruzione mentale senza vie di fuga, dove si aggirano figure familiari ( Daniela Piperna) perché accomunate da un’estraneità sconcertante. Il Teatro India dal 16 al 18 maggio dà spazio alla storia di una donna perdente, che si perde nelle sue stesse parole, recitando la propria realtà e citando quella d’altri, con un’ironia accecante che trascina nell’oscurità di verità tragiche. Le parole si disperdono frantumando lo spazio e il tempo, tra risate disperate e sagaci rivelazioni. Tutto inizia e finisce nella casa della parola, inquietudine di abitare soli, soffocati nel sovraffollamento dei propri pensieri parlanti.