Non c’è speranza nel ’91 in Albania; il regime comunista che per più di 45 anni aveva controllato e limitato la libertà dei cittadini albanesi è ormai collassato. Migliaia di persone cercano di scappare verso l’Occidente partendo dai porti di Valona e Durazzo con navi, pescherecci e gommoni. Tra i tanti che scappano verso l’Italia c’è Alexander, trentenne che fugge a bordo del peschereccio “Miredita” (Buon giorno) e giunge a Brindisi.
In quel peschereccio c’è anche suo figlio Aleksandros Memetaj, bimbo di 6 mesi, che crescerà in un paesino del Veneto. Aleksandros Memetaj è l’autore e l’interprete di questo testo bello ed efficace che racconta le vicende di due albanesi, Alexander e Aleksandros, padre e figlio che vivono lo strappo dalla propria terra. Il padre costretto ad affrontare le difficoltà e i pericoli del viaggio, il dolore della lontananza e l’ odio e amore per la propria patria. Il figlio invece che vive un’identità frammentata, con il suo stesso nome che gli appare estraneo; cifra del disagio identitario che caratterizza le seconde generazioni. Memetaj imparerà a usare due lingue e accettare il proprio nome, la propria provenienza, “senza la pretesa di poterlo capire fino in fondo”.
Questo è il compito che gli riserverà la storia.
Solo, in piedi su una mappa dell’Albania, Memetaj racconta le sue esperienza italiane, da cittadino italiano tra gli italiani, da bambino tra i bambini, ma sempre da diverso tra gli uguali.