«Il riso castiga certi difetti pressappoco come la malattia castiga certi eccessi». Diceva Herni Bergson. E cosa succede se a ridere è il pubblico in uno dei momento più topici di un classico greco? In fondo, ridere è anche una forma di catarsi, ma talvolta è indice che qualcosa nella sinfonia è andato storto, che qualcuno ha stonato.
L’Edipo in scena all’Eliseo, fino al 12 febbraio, con Glauco Mauri nelle vesti di un Edipo decadente, a Colono, e Roberto Sturno che lo affianca recitando, invece, un Edipo giovane e arrabbiato, in Edipo Re, è uno spettacolo di difficile interpretazione.
Forse proprio la scelta di affidare i due testi a due registi diversi ha dato al pubblico più difficoltà che altro. A dispetto della regia di Andrea Baracco, il cui Edipo Re risulta cupo, pesante e che sembra avere qualche debito con delle atmosfere sartriane, Edipo a Colono ha un’aria più ampia, la morte diventa un addio felice, Edipo non sparisce, quasi assunto in cielo, come il testo suggerisce, ma avvicina il pubblico agli attori, chiudendo letteralmente il sipario. È una congiunzione tra lì e qui.
Ma restano molti dubbi. In primis, la recitazione. Resta da capire perché, nell’Edipo Re, in una città fiaccata dalla peste, dove non dovrebbero esserci le forze nemmeno per stillare una lacrima di pianto, si gridi, ci si contorca, ci si rotoli per terra. Resta da capire perché Edipo venga definito un “bastardo”. E molto altro ancora.
Nel complesso, brilla per il glauco pallore in questa notte oscura l’Edipo di Mauri, lasciando nelle tenebre l’Edipo di Sturno, che calca la mano su un Edipo enragé, forse troppo.